venerdì 4 aprile 2014

Recensione videogioco: Betrayer






Titolo: Betrayer
Anno: 2014
Sviluppatore: Blackpowder Games
Distributore: Steam
Piattaforme: PC

Che ci crediate oppure no, c'è stato un tempo lontano in cui gli attuali Stati Uniti d'America erano una terra indecifrabile e violenta ove guerra, ingiustizie, soprusi e bigottismo erano all'ordine del giorno. E' questo l'originale scenario in cui ci fa naufragare Betrayer, il Nuovo Mondo di Inizio '600, gli albori dell'età coloniale in un continente ancora selvaggio e incontaminato, non fosse per i gli ultimi arrivati e tutto il bagaglio di corruzione, menzogne e meschinità varie che non hanno esitato a portare con sé dal cosiddetto mondo civilizzato. Dove c'era una giovane e speranzosa comunità, ad attenderci sono rimaste unicamente rovine senza vita, come risucchiate dal tempo. C'è qualcosa di profondamente sbagliato, lo sentiamo nella stessa aria che respiriamo, ma non c'è niente o nessuno che possa aiutarci a capire. Man mano che senso di tragedia si fa sempre più palpabile e insostenibile, scorgiamo qualcuno in lontananza, ci avviciniamo bramosi di risposte o solo di contatto umano, ma le speranze dureranno solo il poco tempo per scoprire come attorno a noi nulla è come dovrebbe essere, l'unica logica possibile è dettata dalla disperazione e la sola compagnia alla quale possiamo ambire è composta da vuoti simulacri animati dal più puro odio. Siamo senza via d'uscita da questo incubo, la nostra stessa vita (e forse, anche la nostra anima) è in pericolo. Strisciamo in cerca di un rifugio e un istante di tregua, quand'ecco, una campana. Un oggetto insignificante abbandonato nella polvere, che invece si rivelerà una porta tra il regno dei vivi e il limbo in cui sono intrappolate le anime inquiete di chi visse in prima persona la discesa all'inferno di questo luogo maledetto. Ed è qui che inizieremo a percorrere a ritroso questa tortuosa spirale di sangue dolore in cerca di una verità incancrenita tra le pieghe più oscure della natura dell'uomo. Wow, roba allegra.
Probabilmente il nome Blackpowder Games risulterà sconosciuto ai più; ma ciò non tragga d'inganno, al pari del relativo silenzio delle fanfare dell'hype nel corso di sviluppo e uscita di Betrayer: dietro al debutto di questo marchio indipendente si celano autentici veterani dell'industria e nel genere horror, precisamente ex membri di Monolith Productions con all'attivo titoli quali F.E.A.R., Blood, Aliens Vs Predator 2 e No One Lives Forever. I valori produttivi da cui (ri)parte il team americano non saranno da blockbuster, ma di contro, è evidente come già dalle sue fondamenta, dietro a quest'opera vi siano esperienza, mestiere e una visione precisa quanto focalizzata. Impossibile iniziare qualunque discorso tecnico o critico su Betrayer senza spendere qualche parola sul suo peculiare stile visivo e sulle atmosfere che vuole propiziare. Le nostre peregrinazioni nella Virginia seicentesca sono infatti vincolate a un suggestivo bianco e nero ad alto contrasto, squarciato con ben poca delicatezza da pennellate di uno squillante rosso vermiglio (o rosso sangue, se preferite) in corrispondenza di oggetti raccoglibili, punti d'interesse e nemici; mentre i segmenti nel dominio dei morti il tema monocromatico assume apertamente i contorni dell'incubo a occhi aperti, con una predominanza di soffocante tenebra, o alternativamente, con una coltre di livida, "silenthilliana" nebbia. Invero è presente anche la possibilità di ripristinare una più convenzionale visuale a colori... Ma, dico, a che pro uccidere sul colpo quello che non solo è un valore aggiunto estetico, ma anche una componente fondamentale del carisma e del'identità stessa del gioco? Già, perché in questo caso il comparto tecnico non si limita ad essere un orpello fine a sé stesso, ma si erge ad assoluto protagonista in quello che i Blackpowder vogliono farci vivere. Se iol look unico è la prima cosa ad attirare l'attenzione, è il sonoro a suggellare il mood che ci accompagnerà per le prossime 7-8 ore. Scordatevi elaborati score orchestrali, inquietanti campionamenti industrial e compagnia bella, qui l'unica musica che sentirete è quella offerta dalla natura, con una netta predominanza del suono del vento, una presenza costante e instancabile. 
Betrayer, come pochi altri giochi sulla scena, riesce a valorizzare e nobilitare il quasi totale silenzio, rendendolo senza forzatura alcuna e con grande efficacia un elemento di primo piano. Non stupisca come una delle più importanti abilità in cui potremo imbatterci sia pensata unicamente per le nostre orecchie, dando la possibilità di ascoltare voci che dall'aldilà sapranno indicare la posizione di indizi, località e "persone" utili ai nostri fini. Il risultato audiovisivo d'insieme è infatti qualcosa di unico e magnifico, capace di farci letteralmente inghiottire dalla solennità  e la "purezza" degli ambienti, e allo stesso tempo alimentare senza un attimo di respiro lo scomodo sospetto -anzi, la certezza- che questa sorta di paradiso terrestre sia in realtà innaturale, corrotto, e meno che felice della nostra presenza.
Coerentemente, il ritmo generale tende verso una cadenza lenta che spinge ad esplorare le vaste aree giocabili con passo misurato e prudente, penalizzando qualunque velleità di adottare un piglio da spacconi con un ingiustificato surplus di autostima. Dopotutto, il diciassettesimo secolo non è tempo di M16, lanciarazzi e BFG; e le stesse armi da fuoco disponibili, in un contesto di sopravvivenza in solitaria, offrono più controindicazioni che vantaggi, col risultato che vi verrà spesso spontaneo barattare la potenza del vostro moschetto a colpo singolo con la maggiore velocità e discrezione di un arco, una balestra o una cara vecchia coltellata a sorpresa. Pensare da cacciatori e non da marine intergalattici è la strada più funzionale nonché gratificante per affrontare o eludere i vari conquistador demoniaci, guerrieri pellerossa spettrali, spettri e le altre amene creature ostili minimizzando i rischi di essere reclutati tra le anime perdute di cui la zona offre una selezione già fin troppo nutrita. Un punto a favore degli amanti degli stealth games, che sicuramente si divertiranno con questa variante rigorosamente outdoor, ma vale la pena precisare che non è nel combattimento il piatto principale di Betrayer. Come in verità non lo è alcuno degli aspetti del gameplay vero e proprio: a volerci soffermare, la varietà e complessità delle meccaniche non è sono nulla di strabiliante, e l'effetto novità alla distanza finisce per risentirne. Piuttosto, il titolo di Blackpowder Games campa di atmosfera e narrazione, mandando a segno in questo senso i colpi migliori. Prendendo spunto dalla misteriosa storia della colonia di Roanoke (di fatto la prima ghost story d'America), il team ha saputo imbastire un plot avvincente, ad alto impatto emotivo e non privo di sorprese. Tipo, vi ho già detto che la nostra investigazione si basa unicamente sulle testimonianze di fantasmi? Sorprendentemente, per una volta non stiamo parlando di anime dannate e consumate dal rancore, ma bensì di patetici spiriti condannati a una 
perpetua letargia, con una memoria decisamente ballerina riguardo alle proprie vite e morti (per i miracoli devono ancora attrezzarsi, mi sa), il nostro compito è di risvegliare la memoria di questi poveracci  tassello dopo tassello, portando loro testimonianze dei -furono- amici, commilitoni, mogli e amanti, oppure mostrargli oggetti legati al loro fato. Ad ogni indizio svelato avremo resoconti più dettagliati, e puntualmente sempre più drammatici. Perché, non dimentichiamolo, non possono esserci lieto fine in una storia intrisa di sofferenza, sentimenti infranti e tradimenti. Come può suggerire il titolo, è quest'ultimo concetto a rappresentare il fil rouge che lega tutto l'intreccio di vite spezzate, illustrandoci pugnalate alle spalle (sia metaforiche che letterali) in un'inquietante varietà di modalità, motivazioni e implicazioni, dove non è  sempre così semplice riuscire a tracciare un giudizio morale privo di ombre e ambiguità. Quel che invece è costante, è il tono assolutamente depressivo, sempre più pesante ad ogni progresso compiuto. 
Passate le 8-9 ore per giungere meritatamente all'epilogo, la sensazione è quella di aver giocato qualcosa di unico nel suo genere. Betrayer non è perfetto, forse un budget maggiore avrebbe giovato nel limare qualche spigolosità e conferire una maggiore profondità al gameplay, ma concettualmente il lavoro di Blackpowder Games risulta perfettamente compiuto ed efficace. Se cercate un survival horror fuori dagli schemi e sapete apprezzare una storia avvincente, non serve guardare oltre, la vostra fiducia e il vostro portafogli non si sentiranno traditi.


Voto: 8/10

martedì 1 aprile 2014

Recensione videogioco: BlackSoul: Extended Edition






Titolo: BlackSoul Extended Edition
Anno: 2014
Sviluppatore: XeniosVision
Distributore: Steam
Piattaforme: PC

Ci sono un sacco di cose che noi italiani sappiamo fare bene, tipo santi, poeti e navigatori, non ce la caviamo malaccio neppure come pizzaioli, suonatori di mandolino o stallieri di ex Presidenti del Consiglio. Ma per quanto possiamo sforzarci di espandere l'elenco, quella dello sviluppatore di videogiochi non è certo annoverabile tra le carriere in cui il Belpaese possa vantare una tradizione più o meno gloriosa. Certo, abbiamo Milestone che s'è ritagliata un nome di tutto rispetto nel campo dei simulatori motoristici, abbiamo una divisione di Ubisoft pure piuttosto attiva (seppure soprattutto su porting, titoli minori e supporto ad altri team del colosso francese), ma è pacifico che siamo decisamente lontani anni luce dal poter parlare di una vera e propria scena videoludica italiana. Immagino c'entri qualcosa con la riluttanza che abbiamo sviluppato verso l'investire sulle nuove tecnologie, o con un'industria dell'intrattenimento attualmente a corto di idee e da tempo cristallizzata in un limbo di scoraggiante provincialismo... ma ok, sto iniziando a diventare retorico e rompicoglioni più del dovuto, e per scongiurare il rischio di finire per chiamare in causa Gioventù Ribelle, vengo subito al punto: BlackSoul è un gioco creato dai romani XeniosVision che tramite Steam è riuscito ad ottenere visibilità e distribuzione su scala mondiale, e già questo dovrebbe far notizia.
Nello specifico, BlackSoul è un survival horror che grida da ogni pixel il proprio amore per la vecchia scuola del genere -Resident Evil classici in primis- e che proprio agli irriducibili nostalgici di quell'epoca intrisa di atmosfere da B-movie, rompicapo surreali, armamenti limitati, zombie stupidi e Jill sandwiches vuole rivolgersi. E curiosamente, per quanto all'interno di un contesto di stra-nicchia all'interno di un panorama tutt'altro che affollato, esiste già un precedente di orrore tricolore nel non esaltante I'm Not Alone, con cui peraltro BlackSoul condivide il motore grafico, l'S2 di Profenix. Decisamente più unico è invece il setting dell'opera di XeniosVision, che ci proietta nei più lugubri angoli dell'Inghilterra rurale degli anni '70, ove una misteriosa epidemia che apparentemente tramuta le persone in killer psicotici spinge la giornalista Ava a recarsi sul luogo per fare luce sull'accaduto, il tutto naturalmente senza il bencheminimo riguardo per la propria salvaguardia (non mi stupirebbe affatto un qualche grado di parentela con il protagonista di Outlast). Sarà compito di Ada e del fratello Sean (non inganni il look da clochard, almeno lui è sufficientemente lucido da portare con sé un'arma fin da principio) farsi strada in mezzo a un'orda di non morti affamati e una selva di serrature rotte, chiavi nascoste nei luoghi più improbabili ed enigmi disseminati ad ogni angolo, alla ricerca della verità dietro alla trasformazione di una ridente comunità in una sorta di happy hour a cielo aperto per cadaveri non particolarmente disposti a riposare in pace.
A prima vista, gli ingredienti per compiacere il pubblico di riferimento sono presenti e ben allestiti: un'atmosfera spettrale e deprimente, coadiuvata da una struttura che miscela esplorazione, combattimenti, e una disponibilità di risorse che toglie la voglia di comportarsi da cazzoni dal grilletto facile, o viceversa, da novelli berserker pronti a caricare a testa bassa come se non ci fosse un domani (o un limite negli oggetti curativi). Com'è che dicevo? Ah giusto, "vecchia scuola".
La devozione e la volontà di omaggiare un'era videoludica che fu è del tutto evidente e limpida da parte dello studio capitolino, al punto di adottare scelte di design oggi considerate obsolete, come lo sviluppo del plot affidato interamente a diari testuali racimolati nel corso dell'avventura, il ritmo generalmente molto lento e una gestione delle telecamere a inquadratura fissa dal sapore cinematografico (che tuttavia abbandonerete subito in favore della più pratica visuale in terza persona; da apprezzare in ogni caso la possibilità di scelta). Non manca nemmeno quel gusto per i puzzle surreali che pare animato dallo stesso spirito per cui, a Raccoon City, chiunque voglia solo andare al cesso di casa propria, deve necessariamente recuperare la chiave dell'armatura, sbloccata inserendo i quattro emblemi dei punti cardinali nella statua del leone d'argento nascosta in un passaggio segreto in cantina raggiungibile utilizzando la manovella ettagonale nella toppa visibile solo attivando nella giusta sequenza la serie di quadri raffiguranti passaggi del Deuteronomio. 
Insomma, le idee ci sono, e non mancano affatto di coerenza nè di potenziale interesse per la nicchia di pubblico prescelta. Ma la realizzazione? Qui purtroppo torniamo al punto iniziale: lo sviluppo di videogiochi in Italia è una realtà ancora molto lontana dal possedere una propria maturità, e i ragazzi di XeniosVision, per quanto evidentemente entusiasti e volenterosi, si trovano a cozzare con tutti i limiti del caso, nei mezzi e nell'esperienza.
Per dire, inizio subito dal punto più dolente: i combattimenti sono la parte peggiore del gioco, e per distacco. Monotono, semplicistico, macchinoso, frustrante, buggato. Qualunque aggettivo men che lusinghiero applicabile a un fighting system, ha qui una sgradevole rappresentanza. La varietà delle creature ostili è qui nulla: al di là delle differenze cosmetiche, e i differenti parametri di velocità, resistenza e danno inflitto, gli zombie designati a mangiare il nostro piombo hanno dal primo all'ultimo lo stesso identico comportamento. E neppure un pattern particolarmente raffinato, nemmeno rispetto agli standard della categoria: stare piantati come paletti fino al momento in cui un potenziale bocconcino si avvicini a sufficienza o abbia l'idea di annunciare la sua presenza con un'allegra pistolettata. Da lì, dritti alla carica e vabbè, sticazzi della notoria compostezza british. Dal punto di vista del giocatore, il processo non è tanto meno meccanico: eliminare dalla distanza a minaccia col giusto numero di proiettili a segno, o alternativamente, andare al risparmio e far valere educatamente le proprie ragioni a sprangate, sperando di non ciccare il tempismo nella tediosa serie di click implicata, e che le hitbox ballerine siano clementi. Poi certo, la fuga resta un'opzione (quasi) sempre percorribile, ma la gargantuana mole di backtracking evidente fin dalle prime schermate rende manifestamente sconsigliabile qualunque velleità di un approccio stealth/pacifista/cagasotto che sia. Invero, non che manchi un certo tentativo di inserire una componente "tattica" negli scontri, tipo le diverse situazioni con nemici multipli all'attacco da più direzioni, in cui è necessario valutare un piano d'azione in base alla velocità e pericolosità dei frollati assalitori, e il relativo armamentario per avere le maggiori possibilità di uscirne vivi. Giusto, quasi dimenticavo: con la più bieca e inesplicabile arbitrarietà, molti dei non morti sono in grado di farci fuori istantaneamente con un solo colpo inflitto; e magari si tratta proprio di quei gentiluomini dalle capacità atletiche di Usain Bolt contro cui abbiamo un margine di contrattacco pari a qualche nanosecondo; senza contare che qualunque morso zombesco, a prescindere dal danno inflitto, genera un'infezione che toglie rapidamente energia nel tempo, fino all'utilizzo di un apposito antidoto (manco a dirlo, uno degli oggetti più rari disponibili), o naturalmente, a uno spiacevole decesso.
Resta francamente inspiegabile come una componente d'azione retta su basi tanto zoppicanti abbia finito per ritagliarsi un peso specifico così preponderante nell'economia del design, al punto di ispirare aree interminabili ad elevata densità di scontri e l'intera seconda metà del gioco (e parliamo di un titolo durevole attorno a una sorprendente quindicina sorprendenti ore) dichiaratamente sbilanciata sull'uso di forza bruta. Una falla nella struttura che si fa sentire ben al di là dei limiti tecnici, dei vari bug e crash riscontrabili, dello schema di controlli non troppo user friendly (cioè, accetto tranquillamente i controlli tipo tank, ma potersi voltare unicamente via mouse non è il massimo, specie nella visuale "classica"), dei tempi di caricamento di proporzioni bibliche e tutte le altre magagne che altrimenti sarebbero risultate tutto sommato digeribili dinnanzi a quanto di buono riesce a sfoggiare questo umile videogame. 
Già, perché nonostante tutto, come può suggerire il titolo, BlackSoul ha un'anima. Magari di seconda mano e tutt'altro che immacolata, ma non per questo incapace di far valere una propria dignità. Difficile, se si è cresciuti a pane e horror targati Capcom/Konami/Infogrames, non respirare assaggi di quel carisma in quei frangenti in cui XeniosVision decide di ingranare la marcia dell'esplorazione più riflessiva e dell'atmosfera pura. Perfetto esempio sono le escursioni nei labirintici ambienti interni, dove la messa in scena degli scenari (altrimenti generalmente blanda) regala numerosi picchi di gusto e suggestività, e dove gli sviluppatori hanno maggiormente modo di dimostrare di aver imparato bene la lezione dei "grandi vecchi" per quel che concerne la progettazione di enigmi interessanti e piacevolmente impegnativi. Mettiamo in conto anche una colonna sonora di livello più che adeguato e un certo talento narrativo che traspare nei documenti deputati a portare avanti la trama (un rammarico come la loro scarsità e dislocazione renda sfilacciato e alla fine dei conti 
incompleto un plot che avrebbe certamente meritato più cura), per restituire un pò di giustizia ai buoni intenti dell'esordio di questa piccola sofware house, percepibili anche senza voler chiudere gli occhi su una realizzazione non altrettanto riuscita. Può bastare questo per giustificare un acquisto da parte di un semplice "curioso"? Spiacenti, no. Per quanto riguarda la sottile fetta dei survivalhorroristi di vecchia data alle prese con un'irrefrenabile crisi d'astinenza verso un genere praticamente in via d'estinzione? Non ne sono sicuro... ma un tentativo non lo escluderei del tutto, non si sa mai che BlackSoul riesca a toccare le corde giuste e farvi rivivere qualche oretta nel più onesto omaggio per i cari vecchi tempi.
E sì, è comunque meglio di Gioventù Ribelle. 


Voto: 5,5/10